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mercoledì 9 luglio 2008

Il concetto di eguaglianza nella costituzione italiana e la tutela delle minoranze presenti sul territorio

Il concetto di eguaglianza inevitabilmente si lega a quello di tutela minoritaria.

Concezione formale (primo comma): contro la tutela minoritaria

Concezione sostanziale (secondo comma): a favore della tutela minoritaria

Nella storia costituzionale si sono avute varie accezioni del concetto di eguaglianza anche se solo in pochi casi è stata accettata l’equazione eguaglianza=paritarietà.

In Francia, illuminismo e giacobinismo portarono avanti la concezione formale di uguaglianza visto il grande sospetto nei confronti dei gruppi. Nel 1793 fu emanato il decreto Le Chapelier il quale vietò la libertà di associazione, al fine di contrastare il fenomeno corporativo.

La rivoluzione francese assunse l’eguaglianza come elemento fondante del nuovo regime, questa concezione che nasce da presupposti positivi (la paura di un ritorno all’ancién régime) è sostanzialmente anacronistica al giorno d’oggi. Il senso di appartenenza fondato sul principio di uguaglianza è molto forte sia in Francia che in USA, anche se in questo ultimo paese attualmente prendono piede le affermative actions miranti a riequilibrare le situazioni squilibrate nella maggior parte dei casi attraverso il sistema delle quote riservate. Fautore di questo trend è il presidente dei commercialisti mondiali Michael Rosenfields, il quale nel 1991 ha scritto un libro a favore delle azioni positive.

UNIFORMITA’– EGUALITARISMO vs AZIONI POSITIVE – EGUAGLIANZA SOSTANZIALE

ARTICOLO 3 COSTITUZIONE ITALIANA:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Secondo la teoria costituzionalistica i diritti soggettivi sarebbero quei diritti che il legislatore considera tali, caratterizzati dall’immediata esigibilità.

All’inizio si pensava che l’articolo 3 della costituzione italiana fosse un diritto soggettivo pubblico e quindi immediatamente esegibile.

Tuttavia in seguito è stata consolidata la non tassatività e la non esaustività del catalogo di criteri di cui all’articolo 3 e la sua funzione di CRITERIO GUIDA per il legislatore. Perciò il diritto contenuto nell’articolo 3 non è immediatamente esigibile ma ha bisogno di una traduzione normativa.


1 commento:

danilo d'antonio ha detto...


QUESITI D'ORDINE FILOSOFICO E LEGALE
SULLA RES PUBLICA E LA SOVRANITA' POPOLARE

L'assegnazione a vita ad una persona di un bene collettivo, di una comproprietà, impedendo la fruizione del bene alle altre persone, fa decadere la qualifica stessa di collettivo, di proprietà comune, e la sua riduzione a mera proprietà privata d'accesso ad altri. Una tale cessione palesemente non può essere eseguita senza che tutti gli aventi diritto sul bene siano prima adeguatamente informati sulla grave perdita che essi subiranno. In caso di mancato adempimento, l'atto può essere considerato nullo.

1° quesito: come mai i cittadini italiani/europei non sono mai stati interpellati in merito alle conseguenze della cessione a vita, quindi per loro praticamente definitiva, della più gran parte di quel fondamentale bene collettivo, di quella basilare comproprietà: la Res Publica, che sono gli impieghi, poteri e redditi Pubblici tutti?

2° quesito: visto il mancato adempimento d'informazione che c'è stato verso i cittadini, in merito alla perdita della parte più sostanziosa della loro Res Publica (nientemeno che dello Stato) quindi dello stesso carattere fondante della Democrazia, può l'atto d'assegnazione a vita di un pubblico impiego essere considerato nullo?

3° quesito: se quanto detto corrispondesse al giusto, considerato che a non adempiere ai doveri del caso sarebbero stati proprio coloro i quali erano deputati a far conoscere e rispettare la legge, considerato che proprio non ottemperandovi essi hanno anzi preso definitivo possesso del bene comune, della Res Publica, dello Stato, privando il resto della popolazione di un legittimo e primario diritto, potrebbe il loro essere considerato un intento ed atto criminoso vero e proprio da perseguirsi a norma della stessa legge che non applicarono? In caso affermativo, nel caso costoro avessero agito non seguendo l'interesse della collettività ma loro personale, potrebbero essere chiamati a rispondere personalmente del danno subìto dalla società e dai singoli individui in conseguenza della mancata applicazione di quelle regole, chiare e definite, che, se rispettate, avrebbero permesso una agevole evoluzione del Paese nel corso dei vari ultimi decenni?

Essendo i magistrati, costituzionalisti, docenti universitari e tutti gli altri innumerevoli grandi attuali proprietari dello Stato Italiano (perché tali effettivamente costoro divengono con l'assunzione a vita, che esclude la partecipazione di tante altre persone aventi pari diritti, requisiti, competenze e professionalità) cui gli stessi politici e governi si sono sempre rivolti per consiglio e che comunque sempre questi ultimi devono subire, venendo da essi educati/formati/inculcati fin da piccoli, affetti da evidente e totale conflitto d'interessi in merito alle ipotesi sovradette, a chi può essere affidato il compito di dirimere obiettivamente la questione?

Danilo D'Antonio
Monti del Terremoto
Abruzzo, Centro Italia

+39 339 5014947

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