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domenica 6 luglio 2008

La politica estera italiana dell'ottocento tra Destra e Sinistra Storica

In politica estera il principale problema di politica internazionale fu quello di completare l’unificazione del paese per la Destra Storica, in quanto nel 1866 ci fu il problema del Veneto contro l’Austria e nel 1870 vi fu la questione romana. L’Italia dal punto di vista internazionale risultava assente. Visconti Venosta, ministro degli esteri affermò che l’Italia avesse bisogno di un periodo di raccoglimento e quindi con una politica estera di basso profilo, bisognava pensare ai problemi interni. Tuttavia ciò porta l’Italia in una posizione di isolamento in un’epoca in cui regna l’imperialismo per gli altri stati. Si creano grandi imperi coloniali in Africa e in Asia e l’Italia ne resta fuori.

Nel 1881 la Francia occupa la Tunisia e ciò fa svegliare l’Italia, fu uno shock in quanto da anni l’Italia aveva mire sulla Tunisia. La Francia però non era in isolamento ed ottenne il sostegno della Germania di Bismark. Tale evento fu fondamentale per l’Italia nella politica estera. Bisognava allearsi ed uscire dall’isolamento.

La Francia era vista come rivale, era una repubblica ed era vista come troppo avanzata, pericolosa ed eversiva. L’Inghilterra rimane fino al novecento una potenza che pensa più a se stessa che alle vicende europee. La libertà di navigazione e del commercio è l’unica cosa, fondamentale, per cui il regno si preoccupa. La diplomazia italiana allora inizia a guardare alle Monarchie europee della Germania e dell’Austria, entrambe conservatrici, e ciò poteva avere effetti positivi a livello interno per consolidare lo stato in quanto alleati di potenze conservatrici.

Nel 1882 quindi l’Italia stipula la Triplice Alleanza con la Germania e l’Austria, alleanza alla quale rimarrà fedele fino alla prima guerra mondiale. Tuttavia tale alleanza presenta alcune caratteristiche difficile e per certi versi dubbie e incoerenti. L’Austria era lo stato contro il quale era avvenuto tutto il procedimento di unificazione italiana, e aveva ancora il dominio sul trentino. Allora la triplice alleanza viene vista come una sorta di rinuncia implicita a questi territori, caratterizzato dal fenomeno dell’IRREDENTISMO, che consiste nella riunione all’Italia delle terre irredenti che erano sotto il dominio austriaco. Ciò sarà la spina nel fianco nella partecipazione italiana alla triplice alleanza (la quale doveva essere rinnovata ogni 5 anni). Il 1° marzo 1887 si deve rinnovare tale alleanza tra le tre nazioni, e si inserisce la clausola dei compensi, la quale prevedeva qualora l’Austria avesse occupato altri territori nella penisola balcanica, avrebbe dovuto cedere all’Italia le terre irredenti. Ma tale clausola però non fu sempre applicata ed infatti nel 1908, quando l’Austria conquista la Bosnia, i territori non vengono ceduti all’Italia. L’Italia era stata caratterizzata da una politica estera di raccoglimento ossia di disinteresse e si doveva giungere ad una politica estera di alleanza, doveva farsi sentire ed essere presente sul piano internazionale.

Due sconfitte fondamentali a livello coloniale avvennero nel 1887 a Dogali e nel 1896 ad Adua, una sconfitta in Africa. La politica estera coloniale subisce purtroppo uno shock e sarà ripresa soltanto con Giolitti e la conquista della Libia nel 1913.

ADUA segna una conseguenza di politica interna e pone fine alla carriera politica di Francesco Crispi, il quale voleva realizzare una grande potenza coloniale.

CRISPI: fu capo del governo per due periodi: dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896. Era un radicale repubblicano, dinamico garibaldino e rivoluzionario. Organizzò i moti in Sicilia già prima di Garibaldi. Ma poi subisce una svolta conservatrice e si converte alla monarchia. Nel 1887 svolge una politica di tipo autoritario e antisocialista. L’atteggiamento nei confronti del movimento operaio fu duplice, usò “il bastone e la carota”.

Fece varie riforme riguardanti l’organizzazione dello stato. Varò una legge comunale e provinciale, fu allargato il suffragio elettorale nelle elezioni amministrative e rese elettivi i sindaci dei centri con più di 10 mila abitanti, ma non erano eletti dal popolo bensì dal consiglio comunale.

Sotto Crispi fu promulgato il CODICE Zanardelli, con il quale ci fu l’abolizione della pena di morte, il riconoscimento del diritto di sciopero, la legge sulla pubblica sicurezza che dava alla polizia ampi poteri di repressione. Mobilitò l’esercito per reprimere le sommosse operaie (i fasci siciliani per le proteste contadine contro il carovita). Fu addirittura proclamato lo stato d’assedio per reprimere i fasci. Furono emanate leggi antisocialiste che colpirono il partito socialista italiano formato a Genova nel 1892 da Filippo Turati. Francesco Crispi vara tali leggi che limitano il partito socialista il quale ultimo è costretto a nascondersi.

Crispi adottò una politica di espansione coloniale la quale terminò con il disastro di Adua nel 1896.

Nel periodo cripsiano tuttavia vi fu un vuoto di potere, nei due periodi in cui Francesco Crispi fu il capo del governo, vi furono due anni che videro un uomo che sarà il protagonista della storia dell’Italia liberale nel prossimo decennio, Giovanni Giolitti, che governerà di nuovo per tutto il primo decennio del novecento. Egli fu un liberale tendente verso sinistra (liberal-democratico) nei confronti dei socialisti, riteneva che gli operai avessero il diritto di associarsi e di aver tutelati i loro interessi. Sotto Giolitti vi fu il permesso di sciopero e non furono repressi, purché ovviamente rientrassero all’interno della legalità. Crispi e Giolitti su tale proposito avevano due concezioni diverse: per Crispi bisognava prevenire e non reprimere, ossia soffocare sul nascere, se si preveniva non c’era bisogno di reprimere dopo. Per Giolitti invece bisognava reprimere e non prevenire, si reprime quando si va oltre la legge ma si dà la possibilità di fare partiti. Giolitti rimarrà al governo dal 1901 al 1915.

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